Van Morrison Into The Music


Per una buona parte del pubblico italiano il primo impatto con Van Morrison è stato nel film di Martin Scorsese L'Ultimo Valzer, durante quella sequenza del finale di «Caravan" in cui il nostro (piccolo, rosso e cattivo) ci da dentro come un dannato con la sua gambetta a scalciare nell'aria in una galvanizzata atmosfera rhythm & blues. E non sono stati in pochi all'uscita, con gli occhi piccoli e le orecchie trasognate, a sussurare che la cosa migliore del film era stata proprio la sua "Caravan".
Van Morrison è probabilmente uno dei due o tre artisti più importanti della musica rock, assieme a Dylan e l'altro mettetelo voi.
È un piccolo irlandese trapiantato in America, ed innamorato del rhythm & blues. Ma non solo innamorato, del R & B Van Morrison è il più grande interprete: quando sul palco mangia il microfono, ordinando il tempo al suo gruppo con il pugno alzato, e lascia che la musica scorra e scorra, ricca di fiati e di cori senza preoccuparsi di incanalare la propria voce fra le sbarre di un ritmo ferreo, giacche lo swing il Van l'ha nell'animo, quando mormora per decine di volte dum derra dum dum diddy dahdah, ho yeah, yeah, yeah, yeah.

Quando sospira forte, chiede al sax un assolo e poi si inserisce con le proprie storie tutte in circolo attorno alla stessa frase:
"I want you to meet me
1 want you to meet me
1 want you to meet me
1 want you to meet me
are you going to meet me?"

Questo è in realtà il rhythm & blues, la musica che più di ogni altra può vantarsi di essere la logica figlia di quel blues che un secolo fa nasceva sulle rive del Mississippi.
Rhythm & blues, blues e ritmo, il ritmo di un gruppo che stende il tappeto ai «piedi» della voce che conduce il discorso di tutto il concerto, che inventa le note e le fa combaciare l'una all'altra, nel disegno free delle sensazioni, proprio un passo dopo di dove si ferma la poesia.
Essere nato in Irlanda non è poi stato un ostacolo all'assorbimento del rhythm & blues, ma anzi una fortuna nella creazione del proprio mondo folcloristico di gighe e degli gnomi di quella terra.
Per Van la fusione degli sfumati ritmi nordici dei propri natali, con le note calde e tristi di Muddy Waters è naturale proprio perché non deve sforzarsi nel comporre le songs, ma solo portare “carta e penna sulle colline rotolanti” e disegnare con la propria tecnica quello che noi solo possiamo avvertire o ascoltare.
E Van ci canta delle proprie vibrazioni di nostalgia per la terra, che non è d'obbligo la terra dei natali, ma qualsiasi secca o grassa terra d'America che egli senta come casa. Ci canta del suo viaggio, di questo travagliato viaggio attraverso la vita, dalle bruttezze e l'insicurezza verso la restituita serenità assaggiata tanto indietro nei ricordi, verso una donna, verso la gioia, verso la casa, la sua casa universale, verso anche quel suo dio questa volta tutto irlandese, quel dio che ogni suo compaesano ha ogni giorno alla propria tavola.
Ho detto verso una donna: c'è sempre una donna nelle canzoni di Morrison, una donna sensuale, una donna sempre persa e sempre riconquistata, sempre allontanata dall'aridità degli avvenimenti e sempre fotografata nel momento del riabbraccio, o meglio un attimo prima, quando la donna è li dietro l'angolo e il nostro vibra di impazienza.
C'è sempre un ritrovamento, un dopo la tempesta.
E sarebbe certo fargli un torto non voler ricordare dell'amore di Morrison per la musica, la musica in se stessa avulsa da ogni altro significato, la musica che tanto appartiene alla gente nella nebbiosa Irlanda, quanto a quell'altra gente nera che nei campi di cotone, e non solo li, aveva proprio nella musica il motivo di riallacciamento ideale con la terra da cui era stata rapita.

Blue Bottazzi - Il Mucchio Selvaggio #26 - gennaio 1980

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